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da dove viene il caffè

Da dove viene il caffè?

Ti sei mai chiesto da dove viene il caffè? Una nuova tendenza nel caffè e si chiama monorigine, un piccolo boom che coincide con l’espansione dei nuovi strumenti per l’estrazione del caffè. Complice di questa tendenza è il mondo cosiddetto “del fuori casa” fatto da clienti sempre più sofisticati che iniziano a volerne sapere di più anche sul caffè espresso, uno dei più forti simboli del made in Italy insieme a pasta, pizza e vino. 

Da dove viene il caffè? Probabilmente sappiamo tutti, o quasi, che i principali paesi di origine si trovano in sud America, in Africa e in Asia (Vietnam prevalentemente).  Ma poi i caffè prendono l'origine dove vengono lavorati perchè le fasi di lavorazione, principalmente tostatura e cialdatura in caso di capsule o cialde ese, incidono in maniera fondamentale sul risultato finale.  I caffè sono principalmente di due varietà, Arabica e Robusta, e possiamo poi parlare di miscele (se sono un mix di più origini) o di monorigini se sono tutti di una stessa e precisa azienda di coltivazione.  La monorigine è un caffè di cui si dichiara sempre e necessariamente il Paese d’origine: un passo avanti fondamentale rispetto alle confezioni “mute” della miscela. Esistono tre livelli di identificazione e provenienza: i caffè monorigine, i caffè di piantagione e gli specialty (solo Arabica), quest’ultimi definiti dalla Scaa – Specialty coffee association of America – in base a un preciso standard: sono tali i caffè che ottengono un punteggio da 80 a 100.  Ecco che se ti chiedono adesso da dove viene il caffè sarai in grado di dare una risposta approfondita. 

Ma queste tre categorie da sole non sono garanzia di eccellenza, perché il caffè va poi lavorato bene. Sono validi due tipi di procedura: a secco e in umido. Il tipo di procedura utilizzato dipende dal contenuto di acqua e dalle esigenze qualitative. Tuttavia, prima di tutto si rimuovono la pellicola esterna, il pergamino e possibilmente anche la membrana argentea, nonché l’acqua, in modo che resti il solo seme pulito e asciutto. Il metodo di lavorazione più antico, “a secco”, prevede l’essiccatura delle ciliegie di caffè finché i semi interni si possono estrarre senza essere danneggiati. Le drupe, possibilmente giunte allo stesso grado di maturazione, sono adagiate su superfici asciutte in cemento o su selciati e girate in continuazione perché non marciscano. La fase di essiccazione dura dalle tre alle cinque settimane. Il giusto grado di essicazione della ciliegia è acquisito quando scuotendola il chicco interno fuoriesce.

Nel caso di caffè “lavato”, le drupe fresche e mature sono separate dalla polpa e dalle impurità manualmente oppure meccanicamente, quindi vengono tolti i resti della polpa, in modo che il chicco non venga danneggiato e sia ancora avvolto nel pergamino. Infine, il caffè subisce un’ulteriore selezione in canali di lavaggio per poi essere setacciati e confluiti in contenitori di fermentazione, a seguito della quale si rimuovono altri resti. Al lavaggio, segue l’essiccazione.

Le differenze di gusto tra i chicchi non lavati e quelli lavati emergono solo dopo il processo di tostatura: la lavorazione a secco presenta, infatti, un sapore più dolce, dato che lo zucchero transita dalla polpa all’interno del chicco per osmosi. Ecco perché questo tipo di lavorazione si addice in modo particolare alla preparazione del caffè per espresso. Invece il chicco lavato è più fruttato.

Il caffè crudo così ottenuto verrà successivamente selezionato per essere indirizzato alla decaffeinizzazione o passare direttamente alla torrefazione.

Il caffè può essere decaffeinato secondo diverse modalità: attualmente le tecniche più utilizzate sono la decaffeinizzazione ad acqua e quella a CO2 supercritica (più costosa). La prima comporta il passaggio dei chicchi di caffè crudo in vasche di acqua, dove sono presenti filtri a carboni attivi. L’acqua come solvente estrae la caffeina, permettendo di ottenere un caffè estremamente leggero, anche se non del tutto privo di caffeina.

Una volta ottenuto, il caffè, decaffeinato o meno, dev’essere torrefatto, ovvero i semi vengono cotti a temperature tra i 200 e i 240 °C. In questo momento si concentrato i centinai di aromi che poi si possono ritrovare in una tazzina al bar. In questa fase il chicco subisce una serie di modifiche, le principali sono la perdita di peso, dovuta all’evaporazione dell’acqua e di alcune sostanze volatili; aumento del volume rispetto al prodotto crudo; la formazione di una colorazione bruno-nerastra, dovuta alla carbonizzazione della cellulosa ed alla caramellizzazione degli zuccheri; la comparsa, sulla superficie dei chicchi, di un olio brunastro (il caffeone), che determina il caratteristico aroma; infine, una leggera perdita di caffeina dovuta al calore.

Il caffè si può conservare in ambiente atmosferico, per esempio in un normale sacchetto, ma l’aroma si disperde facilmente dopo due settimane; oppure con azoto, processo che assicura al prodotto alcuni anni di durata.

Le fasi per garantire al consumatore un ottimo caffè non sono ancora finite. Ci credereste? È un percorso lungo ed estremamente attento quello del caffè di qualità, l’ho imparato nel corso di un educational da Caffè del Caravaggio (chi sono lo scopri qui https://caffedelcaravaggio.it/it/chi-siamo.html ), realtà di Tenacta Group, azienda conosciuta soprattutto per il marchio di elettrodomestici Imetec. La parola d’ordine qui è eccellenza, per cui anche la conservazione del caffè in cialda ecologica e compostabile (formato scelto dall’azienda) viene fatta con azoto in bustine dai materiali selezionatissimi.

Perché la cialda e non la capsula? Per una scelta ecologica oltre che qualitativa. «Chi sceglie le capsule per distribuire il proprio caffè – afferma Marco Morgandi, business unit manager – lo fa sapendo di mantenere vivo un ciclo produttivo a base di plastica e alluminio non ecologico e assolutamente non necessario. Al contrario, le cialde standard ESE (Easy Serving Espresso) sono totalmente compostabili, ecologiche e hanno caratteristiche uniche che influiscono anche sulla qualità finale del prodotto. Garantiscono pienamente la regola dei 7 grammi di caffè per quanto riguarda la quantità per cialda e non disperdono alcun aroma (come purtroppo capita di leggere o sentire erroneamente in giro), in quanto sigillate ermeticamente in azoto. L’estrazione del caffè dalle cialde può avvenire a 92 gradi e 9,4 bar di pressione da parte di macchine professionali (come la nostra), mentre dalle capsule non è possibile estrarre il caffè in questo modo, che non è altro che il prerequisito standard per poter preparare il caffè espresso: chi vi vende il “vero espresso in capsula” sta barando sapendo di barare. Amanti del caffè, non abbiate più dubbi: il caffè distribuito in cialde è la scelta migliore e, per continuare a garantirvela, Caffè del Caravaggio le controlla e testa scrupolosamente ogni ora nei propri laboratori. Provate per credere… e non tornerete più indietro».

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